THIS IS NOT AN EXIT, DENTRO ALLE FOTOGRAFIE DI VALERIO SPISANI

 

“This is not an exit” è una citazione tratta dal romanzo di Bret Easton Ellis, American Psycho, pubblicato nel 1991, ma è anche il nome di una canzone degli Anthrax, dall’album “Sound of White Noise” del 1993. Pagine scritte e note intonate da cui emerge tutta la frustrazione e il disagio dell’uomo nella società contemporanea, uno stato d’animo che permea anche le fotografie di questa mostra. Luoghi in cui le linee disegnate dalle architetture e dagli spazi fortemente antropizzati, rappresentano le grate di celle senza via d’uscita; vi è tutta l’angoscia di una presa di coscienza: l’individuo è imprigionato nel conformismo e costretto alla disperata ricerca di vie di fuga dagli spazi convenzionali e dagli stereotipi che, suo malgrado, gli appartengono. Ecco spiegata la presenza di una costante nelle fotografie di Spisani: aperture aggettanti sul niente, su muri invalicabili o su spazi non abitabili. This is not an exit è la risposta che nessuno, in cerca di una via di fuga, vorrebbe sentirsi dare.

Le 17 stampe fotografiche di medio/grande formato, realizzate nel corso degli ultimi anni, esposte negli spazi dell’Hotel Annunziata di Ferrara, hanno in comune soggetti rappresentativi di una ricerca fotografica compiuta attraverso uno sguardo unico e originale. La fotografia qui – passando per una meticolosa costruzione formale – è tesa a indagare i meccanismi che imprigionano l’individuo negli schemi invalicabili della struttura sociale.

Ma This is not an exit è una mostra che potrebbe funzionare anche solo grazie alla coerenza formale delle immagini proposte: scatti realizzati in momenti e ambientazioni differenti ma che sembrano tutti giungere al medesimo risultato, attraverso un’abitudine “cartesiana” dello sguardo. L’occhio del fotografo pare limitarsi a cogliere i punti al momento giusto del loro passaggio tra ascisse e ordinate e a porre gli accenti sui terzi. Poi, chi fosse alla ricerca di un significato più profondo, potrà trovare oltre le geometrie, colore, movimento e respiri che sono le vere intenzioni dell’autore. “Quello che vedo nelle mie foto – ha affermato Spisani – che poi è un’emanazione di un’idea fissa che spesso mi frulla nel cervello, è legato alla questione se sia più facile rimanere intrappolati o chiusi in qualcosa (in tutti i sensi: ambiente familiare, lavoro, luogo fisico) che ci stressa ma che comunque ci rassicura. Oppure avventurarsi in luoghi sconosciuti (come possono essere il mare aperto, una scala che porta verso l’alto o il bosco/foresta) lasciando scoperto il fianco all’imprevedibile/imprevisto ma assaporando qualcosa di simile alla libertà”.

 

«…This is not an exit

I can’t never change it

This is not an exit

There’s now way out

I know I’ll never be free

Change doesn’t come easy

And if I’ll never be free

You’ll live in hell with me…»*

 

Musica, cinema, letteratura, sono le grandi fonti di ispirazione per l’autore che, fin da giovanissimo, è stato attratto dal mondo delle immagini. Lo si può vedere nel percorso della mostra, cui abbiamo cercato di dare insieme un senso logico, un crescendo che porta alla consapevolezza sempre più manifesta dell’ineluttabilità della condizione umana. L’effetto che si vuole ottenere è la perdita delle certezze. Far sentire all’osservatore il senso di disorientamento proprio dell’individuo che, sentendosi “arrivato” su un gradino abbastanza elevato della scala sociale, crede di trovare l’appagamento nell’accumulo di cose nuove, nelle lucide architetture, in ambienti confortevoli, tecnologie all’avanguardia, lusso e compiacimento. Una escalation di pienezza materiale che si rivela tanto più effimera quanto più forte è il radicamento a uno status sociale – pensate, se l’avete letto, al feroce imbarbarimento umano causato dalla falsa libertà promessa agli inquilini del lussuoso grattacielo ne Il condominio di James G. Ballard. Se non l’avete letto, ovviamente, ve lo consigliamo.

Nella hall di ingresso siamo accolti dai muri scrostati di una colonia abbandonata di Milano Marittima: sono le 3 Porte morte che introducono al tema della via di fuga negata e non mancano di affascinare, suggerendo un passato vissuto che ci sembra di conoscere: è l’effetto esercitato dagli oggetti in avanzato stato di decomposizione.

Spostando l’attenzione sulla nostra sinistra, ecco comparire il primo segno di presenza umana: la nota stonata che rompe l’armonia geometrica propria delle architetture vuote. In Violence Conjugale (scatto rubato all’interno del cimitero ebraico di Ferrara) appare il presagio. L’indumento posato, il senso di abbandono o di traccia, presenza di un’assenza di qualcuno che forse ce l’ha fatta a trovare una via di fuga – sotto la terra o una fredda lastra di marmo?

Da questo punto in poi, incamminandosi lungo il corridoio dell’Annunziata, la figura umana si fa costante, così come l’ambientazione urbana. Non più luoghi abbandonati o profondamente segnati dal tempo ma scorci di strade che abbagliano di riflessi e superfici specchianti, travertino e acciaio corten: pelli levigate di edifici ultra moderni. Qui, alcuni hanno progettato e realizzato un disegno per altri uomini che vi si ritrovano a vivere «al sicuro nella conchiglia del grattacielo, come passeggeri a bordo di un aereo con il pilota automatico […] liberi di comportarsi in qualsiasi modo, di esplorare le pieghe più oscure della propria personalità. Per molti versi il grattacielo era il perfetto modello di tutto ciò che la tecnologia aveva fatto per rendere possibile l’espressione di una psicopatologia autenticamente libera».**

Nell’ultima sala, dove trovano posto quattro fotografie scattate attorno al Memoriale della Shoah di Bologna, entra in gioco la componente più straniante: un cielo incredibilmente azzurro. Bello quanto irreale, anche se i passanti, rassegnati al quotidiano o forse soltanto distratti, non ci fanno caso e, a dire il vero, manco si accorgono che gli omini nei cartelli stradali se ne prendono gioco, scimmiottandoli, rinchiusi nello spazio disegnato per loro.

This is not an exit è un percorso, un gioco di ruolo. Che pedina vogliamo essere? E, soprattutto, pensiamo che vincere una partita abbia mai portato a una svolta la vita di qualcuno?

 

* Anthrax, This is not an exit, in “Sound of White Noise”, 1993

** James Graham Ballard, Il Condominio, Feltrinelli, 1976

 

Elena Bertelli, 10 gennaio 2018

 

 


VALERIO SPISANI

Nasce nel 1972 a Ferrara e si dedica seriamente alla fotografia solo nel 2010, esponendo le sue opere in diverse occasioni, in mostre collettive e personali, ottenendo diversi riconoscimenti. Fin da piccolo è sempre stato attratto dal mondo delle immagini e in particolare dal cinema, su cui ha scritto diversi articoli, pubblicati sia su testate online sia su riviste cartacee, come Nocturno Cinema. Negli ultimi anni ha partecipato a workshop tenuti da grandi fotografi come Franco Fontana, Giovanni Cocco e Todd Hido. Appassionato di musica rumorosa, letteratura e storia, attualmente vive a Ferrara e lavora a Bologna.

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 FOTOGRAFIE IN MOSTRA

 

HALL DI INGRESSO

  • Porte morte R, colonia monopoli di stato, Milano Marittima/Cervia, 2014, cm 90×60
  • Porte morte B, colonia monopoli di stato, Milano Marittima/Cervia, 2014, cm 90×60
  • Porte morte G, colonia monopoli di stato, Milano Marittima/Cervia, 2014, cm 90×60
  • Violence conjugale, cimitero ebraico di Ferrara, 2015, cm 90×60
  • Crowd control, colonia monopoli di stato, Milano Marittima/Cervia, 2014, cm 90×60

 

CORRIDOIO

Destra:

  • Fake Milan, Stazione Milano Centrale, 2015, cm 60×40
  • The servant 2, Kyoto, 2016, cm 60×40
  • Hunt the buffalo, Lanzarote, 2016, cm 60×40

Sinistra:

  • Animal manservant, Tokio, 2016, cm 60×40
  • The servant, Kyoto, 2016, cm 60×40

 

PICCOLA SALA A SINISTRA DEL CORRIDOIO

  • Nothing above or below, ex distilleria Eridania, Ferrara, 2015, cm 90×60
  • Modern paranoia, via del lavoro, Ferrara, 2015, cm 90×60
  • All you need, giardini sotto mura, Ferrara, 2013, cm 90×60

 

ULTIMA SALA

  • Fake Bologna 1, Memoriale della Shoah, Bologna, 2016, cm 90×60
  • Fake Bologna 2, Memoriale della Shoah, Bologna, 2016, cm 90×60
  • Fake Bologna 3, Memoriale della Shoah, Bologna, 2016, cm 90×60
  • Fake Bologna 4, Memoriale della Shoah, Bologna, 2016, cm 90×60